METTERSI IN GIOCO

Esercizi per un pensiero critico


gennaio-maggio 2016

Il titolo dei corsi e dell’attività di laboratorio 2016 della Scuola di filosofia di Trieste è un’esortazione ricorrente, talora retorica, ma ha anche un senso importante. Può indicare un compito etico-pratico e un atteggiamento critico rivolto al precario stato di salute della cultura di oggi e ai nostri modi di pensare bloccati. Ci sembra dunque necessario intervenire sullo scenario attuale come qualcosa da sbloccare attraverso l’esercizio di un pensiero non accomodante, non passivo, ma neppure galleggiante sulla schiuma di una spettacolarità superficiale.

Fin dall’inizio “mettersi in gioco” ha voluto dire per noi rimettere in campo una soggettività liberata dalle spesse incrostazioni del pensiero cosiddetto unico, comprese le forme di narcisismo e di individualismo che tendono a occupare sempre di più la scena culturale e sociale. È un compito difficile e insidioso, quello di mettere in gioco se stessi e abbandonare nicchie magari comode. Questa consapevolezza critica e le responsabilità pratiche che ne conseguono non sono merci che si trovano facilmente al supermercato culturale.

I corsi della Scuola saranno degli assaggi tra loro anche diversi, ma il nostro sforzo principale sarà di far sì che essi facilitino la produzione di un legame oggi perlopiù assente, convergendo tutti verso una zona problematica comune. La posta in gioco è proprio quella di un impegno collettivo che dovrebbe trovare nelle ore di laboratorio un effettivo coagulo attraverso la discussione, volta a volta, delle parole-chiave adoperate nei corsi. Mettersi in gioco è quindi un compito che noi diamo anche a noi stessi per un buon funzionamento della Scuola: limitare al massimo la pratica della lezione avulsa dal contesto, tentare di realizzare un corpo effettivo di linguaggi o di idee che tenga insieme corsisti e docenti in un’esperienza culturale non fine a se stessa. D’altronde la nostra Scuola è nata proprio in alternativa e come arricchimento ai modi istituzionali di fare filosofia.

 

1. Il concetto di pericolosità (10 ore), a cura di Mario Colucci e Ilaria Papandrea
Dalla genealogia dell’idea di individuo pericoloso nel discorso medico e giudiziario del secolo XIX all’attuale diffusione dell’idea di rischio sociale nel pensiero politico. Quali nuovi problemi teorici e quale la posta in gioco per la psichiatria e la psicoanalisi di fronte a tale nozione pervasiva di pericolosità?
Con la partecipazione di ANDREA MUNI

2. “Da vuoto a vuoto”. Il gioco della scrittura (10 ore), a cura di Giovanna Gallio
Muovendo dalla domanda “che cos’è la letteratura?” e “che cos’è un autore?”, il corso esamina il rapporto tra biografia e scrittura, in particolare le strategie epistolari di Kleist, Dickinson e Kafka. Quale rapporto dobbiamo supporre tra la scrittura come messa in gioco radicale e l’esperienza della vita malata? O tra la “morte dell’autore” e la costruzione del legame sociale mediante la scrittura?
Con la collaborazione di SERGIA ADAMO

3. Marx in gioco (10 ore), a cura di Raoul Kirchmayr
Il corso indaga se sia possibile rimettere in gioco alcuni concetti di Marx, come quelli di “soggetto” e di “crisi”, attraverso la lettura e la discussione di testi archiviati come “classici” ma quasi del tutto dimenticati.

4. Il pensiero debole (10 ore), a cura di Pier Aldo Rovatti
Viene ripercorsa la storia di questa discussa proposta filosofica, il contesto da cui è nata e i problemi che ha sollevato, evidenziando soprattutto i temi del paradosso e del gioco.
Con la collaborazione di TIZIANO POSSAMAI

5. Un pensiero che non tiene: il caso Nietzsche (10 ore), a cura di Massimiliano Roveretto
Mediante l’identificazione del pensiero di Nietzsche con il compimento della metafisica, Heidegger gli ha conferito piena cittadinanza in seno al discorso filosofico, ma ne ha anche soppresso la singolarità e lo scacco. Al contrario, il corso muoverà proprio dal “fallimento” del pensiero di Nietzsche vedendo qui la ragione, paradossale, per cui noi non possiamo prescindere.
Con la partecipazione di STEFANO TIERI

6. La suspense, un concetto nomade (4 ore), a cura di Damiano Cantone)
La “suspense” cinematografica non è un semplice paradigma narrativo, ma ha implicazioni teoriche importanti per la definizione della soggettività e per la critica dei nostri schemi abituali di interpretazione.